Corpo finale
ed. Lietocolle 2019
Come sarà il corpo dell’uomo di Dio – dicevano
Un pesce?
Uno scontro tra un grido e il silenzio?
Sarà un nudo che gronda latte
Un fiato che viene a levigare un legno integrale.
Mormorerà come le nostre perdite?
Bisognerà nutrirlo con offese da perdonare
O avrà un fragile ossatura dentro una mano morale?
Sarà una condizione discorsiva
Sarà un fianco.
Nascerai dal mio addome come una squama di corallo
O ti sfilerò dall’inguine come una vena bianca?
Se sbatto su una lancia subisci un tradimento?
Se mi colpisco, per sentirti, ti sfiguri in pieno viso?
Ti senti vivo
O incassi tutto, per non far rumore, anche tu.
Distingui i corpi, caro Palo Sfranto dell’Impero delle Croci
Dissangueresti lentamente chi mi ha toccato da bambina
O, dimmi, hai qualche pregiudizio sulla crudeltà.
Commento alle Sette Ultime Parole di Gesú sulla Croce
ed. Paperoeditore 2015
Ascolta gli audio:
1.Perdona loro che non sanno quello che fanno
2.Oggi sarai con me in paradiso
3.Madre ecco tuo figlio
4.Perché mi hai abbandonato
5.Ho sete
6.Tutto è compiuto
7.Nelle tue mani rimetto il mio spirito
Dio Il Macedone
ed. Lietocolle 2009
Assoluzione
Quando fallirò sulla mia grazia
come un’idiozia che brucia
dove tutto è suturato
quando l’estensione del perdono
sarà radere al suolo ogni cosa
il clima, le conseguenze
il debuttare di solo sole
ed io sarò riferita alla tappa da cui dipendo
questo Guardiano
per un dovuto passaggio di consegne
si toglierà dal collo il mio ombelico
a prescindere dall’evoluzione delle scelte
come un fatto appena innaturale
– forse una severa questione di tempo –
lo riappenderà al mio
e dando conto di un ragionato apprendistato
estrarrà la mia Assoluzione
dall’imbattibile attesa di una Colpa.
Tutta questa faccenda di perdono, Alessandro,
è mondo, applicazione
quel campo di apparenze da cui estrarre
il lavoro tipografico di Accapo.
Quale sia la Scrittura, traduzione, lingua a fronte
serpente che morde serpente
è la strategia testuale dei miei giorni, vuoto
elevato a Giorno Vero.
Il Compito
ed. La vita Felice 2008
Le tue mani
sono un branco
il cinghiale
i Numeri le Cronache i Maccabei
il salmo 62 a qualcosa di secondo.
Sono le spanne che promulgano la luce
la picchiata
quella bocca dove avvoltoi beccano le leggi
a fiotto aperto.
È sempre una questione di carne e inverno
che si sbranano tra loro
bibbia che buca nel legno in cui mi appoggio
e tiene traccia rossa a me
la mano destra e la mano sinistra - le mie
che chiudono la caccia brutale a qualcosa di levato
dove le tue sono il cibo ultimo prima dell’assalto
quando la bestia mangia prima
mangia comunque
reni fegato cervella
quel presente violento da squartare e fare sacro.
La tua luce è un lupo
è questa morte protetta nei palmi del violento
come un padre da cui mi offri da bere per sempre.
Lluvia
ed. Lietocolle 2004
Ogni giorno Dio mangia me.
Devo dirlo alle scale dopo la porta
-devo dirlo come l’ho pensato-
che sono io la Sua comuneunione di fame
la nube della non conoscenza.
Devo dirlo come l’ho pensato
a quelle che hanno della pioggia la lesione più grave
le scale mediche che battono tosse secca a terra
che non c’è altro di piovano
se non questo sangue medicamentoso che scende
a bocca aperta anche su me.
Ogni giorno Dio mangia me –te-
i nostri corpi a lunga conservazione
dove la vita è una quantità di latte
se non viene afferrata per la carne tutt’intorno alla carne
-dirlo come l’ho pensato-
usa le mani
usa i buchi di Te
prima che i morti lesti penetrino dallo zerbino
i loro accenti infetti
entrino azzurri come gas nei cibi dei piccoli amen
-Da quale organo verrò spezzata?-
E non c’è altro di piovano
in questa stanza a scale che scroscia
se non il Tuo sangue tutto in torno alla nube
-da quale parte di me?-
Ogni giorno Dio mangia
mi afferra la carne tutta intorno alla carne
ti afferro la carne tutta intorno alla carne
perché niente si arrende nei morti
come le mani.
...
Il sangue trattenere
ed. Atelier 2003
Anche tu alle mammelle della lupa?
Ma ero consumata pure alla venuta di Dio.
Sono seni di cera – non hai visto? –
già colati
già stati accesi.
Dal fondo dei canti tiene quel che manca
gli uccelli freddano gli spalti
non covano i tuoi boschi.
Puoi andare
il tempo migra anche da qui.
Ogni lontano si appunta
senza sbando
senza varcare per il cielo.
E non sono neppure addolorata.
Ti guardo dalle vetrate
da dietro la sepoltura
autentica, come uno scarto
come un lungo lavoro d’esperienze.
Calco dei tuoi arti
ed. Lietocollelibri 2002
Ditemi se il suo nome
articolava le falangi degli uccelli
se copulava teso tra le carni
se gli inginocchiatoi nelle pietre dei tempi
hanno il calco chiaro dei suoi arti.
Ditemi se in volto radunava
gli occhi cacciati da ogni messa -gli a me promessi-
e se il segno d'unzione sulla fronte
lucidava a gocce l'inguine eretto.
Ditemi se è precipitato nei buchi delle sue mani
se ha tolto destino al palmo delle linee
e più non mi legge
se ad Emmaus superstite si è spezzato
azzimo e magro come un giuda
o se dal diaframma era più roco il legno della mia nominazione.
Se lo vedete -se lo vedete-
ditegli che ho battuto alla cerca ogni ostia
femmina fessurata e circoncisa
che lo porto nel bisturi
che questo taglio era un grembo
e dalla vulva mi lacerava fino in gola.
Ditegli che i capelli sono caduti come sterpi
e come serpi scolano le mie caviglie
che più di tutto mi mancano i baci dei congiunti
quelli col fiato dentro
dello stesso sangue, i giusti
che li rivoglio chiamati e cantati alla mia fronte.
Ditegli -vi prego- che non lo toccherò
nessuna impronta
che me ne starò ingoiata
denocciolata come la primizia al dio.
Che dei miei seni farò punta dura
a lui intaglierò l'incudine esatta
e mi forerà come un ciondolo
ed io appesa al suo collo di funi
-finalmente appesa e portata-
sarò un bavo
che odora di tutte le erbe della terra.